Come ottenere un risarcimento da parte del committente, nel caso in cui il rapporto di lavoro sia solo in apparenza di carattere autonomo.
Il fenomeno delle cosi dette false partite iva è sempre attuale. Nel diritto del lavoro, al fine della distinzione tra lavoro autonomo e dipendente, prevale senza dubbio la “modalità effettiva” con la quale si svolge la collaborazione, e non la “forma” che le parti hanno voluto attribuire agli accordi sulla carta.
Capita spesso, infatti, che l’imprenditore o l’ente committente facciano sottoscrivere al collaboratore accordi nei quali si ripete, in più di un’occasione, la volontà delle parti di concludere un patto dove viene stabilita l’autonomia del lavoratore, ma che nelle vicissitudini quotidiane sono di tutt’altra natura; tali accordi vengono accettati dal collaboratore perché sono presentati come unica modalità possibile per poter prestare la propria opera, manuale e/o intellettuale, all’interno dell’azienda.
Il fatto di averli sottoscritti funge poi, nella maggior parte dei casi, come “deterrente” per il collaboratore a dubitare sulla loro validità e ad essere convinto sulla inutilità di chiedere eventuali pareri, esterni e professionali, circa la bontà di tali intese.
Ai sensi dell’articolo 2094 del codice civile, “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Stante questa definizione di legge, è facile comprendere, da parte di ciascun interessato, se l’opera prestata nel suo caso specifico, sia di carattere autonomo o dipendente. Questo a prescindere dal fatto che la remunerazione sia corrisposta mediante l’emissione di una fattura e sia stabilito nel contratto stipulato che si tratta di una collaborazione di natura autonoma; tale inciso vale anche quando la retribuzione venga erogata tramite l’emissione di un cedolino mensile di “collaborazione”, meglio noto come collaborazione a progetto co.co.pro., fattispecie abolita dal d.lgs.81/2015; infatti, è ricorrente ancora oggi (nel 2024), avere a che fare con convenzioni che vengono reiterate per anni senza essere contraddistinte dalle caratteristiche del lavoro autonomo, meramente giustificate da una data di stipula (non “certa”, ma apposta secondo esigenza contingente) anteriore al 2015 e “prorogate” in virtù di un progetto non ancora concluso. Tali espedienti, anche se cessati da anni, possono essere oggetto di impugnazione entro il termine decennale di prescrizione a partire dal termine della prestazione.
Le modalità di svolgimento di tali presunte “collaborazioni professionali”, realizzate per mezzo di partita iva, sono caratterizzate, nei fatti, per essere:
1- Esclusivamente personali, con il mero impiego di strumenti e postazione di lavoro di proprietà del committente e all’interno della sua sede, messi solo a disposizione del collaboratore, in comprovata assenza, da parte di questo, di costi;
2- Continuative e non episodiche, protraendosi senza soluzione di continuità e modalità, denotando così il perdurare dell’interesse continuativo del committente al ripetersi della prestazione lavorativa da parte del collaboratore, senza la predeterminazione di un arco temporale palesemente eluso tramite la reiterazione annuale o pluriennale, puramente formale, di contratti stipulati;
3- Etero dirette, con imposizione da parte del committente delle modalità esecutive della prestazione lavorativa, tanto da determinare l’evidente stabile inserimento e l’integrazione del collaboratore nell’organizzazione aziendale, risultando tale modus operandi spesso indispensabile per rendere la prestazione lavorativa richiesta;
4- Svolte in regime di mono committenza, avendo sempre e solo l’ente di riferimento o soggetti dello stesso gruppo come unici “clienti”, ai quale il collaboratore fattura importi fissi mensili predeterminati o rapportati alle ore di lavoro effettivamente prestate nel corso del mese;
5- Potere disciplinare del committente, che può irrogate sanzioni al collaboratore, a seguito dell’inosservanza del dovere di diligenza, di obbedienza e dell’obbligo di fedeltà;
6- Esecuzione delle prestazioni su “ordine” da parte di responsabili dall’ente committente, su iniziativa dei quali il collaboratore subisce il relativo potere disciplinare.
Tali forme di collaborazione, anche qualora rispecchino solo parte di quanto sopra precisato, non possono ritenersi genuine, e in taluni casi, come precisati, completamente illecite.
Il “collaboratore”, spesso, rischia di trovarsi in una condizione disagiata, dovuta a carichi di imposte e contributi non attentamente valutati in precedenza. Inoltre, essendo succube del committente, si espone al rischio di essere privato del lavoro, senza colpa e preavviso alcuno. Infine, deve soddisfare gli adempimenti imposti delle norme fiscali in materia di lavoro autonomo, che si protraggono anche per molto tempo successivamente alla cessazione dell’attività.
Il collaboratore ha diritto a vedere riqualificato il rapporto di lavoro intercorso da autonomo a subordinato, con tutte le conseguenze che ne possono derivare, che possono essere anche molto gravose per il datore di lavoro.
Il collaboratore, in caso ravvisi nella sua posizione personale la sussistenza di elementi descritti, potrà rivolgersi ad un team di legali preparati in materia, che saprà consigliare la migliore strategia da seguire al fine di porre rimedio all’ingiustizia cui è o è stato soggetto, suo malgrado, e ottenere in tal modo il giusto risarcimento del danno subito a causa di una evidente responsabilità amministrativa, da parte del datore di lavoro, oltre che professionale, da parte del consulente che lo assiste.